Lo scorso anno, io e il mio compagno Luciano abbiamo fatto un viaggio di esattamente cento giorni in Argentina: approfittando dell'ospitalità della sua famiglia materna, che vive nella graziosa città di La Plata, vicino Buenos Aires, abbiamo potuto viaggiare nel Nord-ovest del Paese, meglio conosciuto come NOA. Il NOA è la zona andina del Paese, tra le province di Salta, Jujuy, Tucumán, Catamarca, La Rioja e Santiago del Estero. Prima di partire, ci informiamo su vari blog argentini sulle maggiori attrattive della zona e tracciamo un itinerario abbastanza approssimativo delle nostre tappe. Viaggiamo infatti "de mochileros", vale a dire zaino in spalla (da cui il nome del nostro blog, "Mochilando por ahí"), quindi siamo aperti di fronte a qualunque cambio di programma. Abbiamo con noi tenda e sacchi a pelo, che però usiamo solo una volta, perché per il resto del viaggio quando non troviamo ospitalità presso amici o tramite Couchsurfing, ci fermiamo in ostelli o hospedajes (stanze presso famiglie). Ci spostiamo prevalentemente in autobus, il mezzo di trasporto più usato in Sudamerica, ma talvolta veniamo anche caricati in auto da persone molto gentili, abituati agli autostoppisti da quelle parti. Infatti ci troviamo in piena estate e per i giovani argentini, soprattutto della zona di Buenos Aires, è consuetudine fare il nostro stesso viaggio, un po' come noi europei facciamo con l'interrail.
Il primo giorno lo passiamo completamente in viaggio: da La Plata a San Miguél de Tucumán, ben 18 ore di autobus (ma con tutti i confort del caso: sedili completamente reclinabili, spuntini, cena e colazione inclusi).
Da San Miguél prendiamo un autobus per Tafí del Valle, insieme a un numero non meglio precisato di altri mochileros. In tutto il viaggio non abbiamo mai incontrato altri italiani: gli europei erano in gran parte francesi, oltre a qualche tedesco. La stragrande maggioranza dei viaggiatori è di nazionalità argentina. Alla stazione di Tafí vengono a prenderci María Sol, amica della cugina di Luciano, e Ana. María Sol ci lascia a disposizione la casa di famiglia sulla cima di una collina da cui si gode un panorama mozzafiato sulla vallata sottostante. Sembra di stare sulle Alpi: suo nonno era infatti trentino e scelse questo punto per costruire la casa proprio perché gli ricordava la sua terra. Mangiamo le prime di una lunghissima serie di empanadas (quelle del nord sono le più buone) e proviamo lo squisito tamal. Al tramonto scende l'alpapuyo, la fitta nebbia che avvolge tutto e noi, stanchi per il viaggio, andiamo finalmente a riposare.
Decidiamo di andare alla scoperta del paese, considerato un vero goiellino, e facciamo il nostro primo incontro con una famiglia di lama che procede tranquillamente per la strada.
Lasciamo Tafí diretti ad Amaicha del Valle: decidiamo di provare a fare l'autostop. Io sono un po' scettica ma dopo qualche tentativo veniamo caricati da una coppia di agricoltori sul retro del loro pick-up. Ci godiamo circa 50 Km di curve, cactus e paesaggi incredibili: il primo impatto con il NOA ci lascia a bocca aperta. Arrivati al punto più in alto della zona, i nostri nuovi amici si fermano per offrirci del mate (immancabile in Argentina) e un po' di pane per affrontare meglio le curve, raccontandoci dei loro parenti europei ed offrendoci di entrare in macchina: ormai abbiamo guadagnato la loro fiducia ma preferiamo restare dietro, è molto più avventuroso così! Ci lasciano poco prima di Amaicha e proseguiamo per qualche Km a piedi, sotto il sole cocente del Nord. Ci fermiamo in un campeggio praticamente vuoto: l'unica volta che usiamo la tenda piove! Decidiamo di visitare il Museo de la Pachamama, creato da un artista locale, che si ispira all'arte precolombiana.
Ci facciamo portare da un remisero (quello che per noi sarebbe un NCC) alle Rovine di Quilmes, non lontano da Amaicha, dove la nostra preparatissima guida Rubén ci racconta del passato dell'omonima popolazione preincaica. Nel pomeriggio partiamo per la graziosa Cafayate dove ci ospiteranno María José e Alvaro: è la nostra prima esperienza con Couchsurfing ma da subito ci troviamo a nostro agio a casa loro.
Cafayate è famosa per il vino e per essere il capoluogo della Quebrada de Cafayate, una delle principali mete turistiche della zona. Prenotiamo un tour organizzato per il pomeriggio: la Quebrada, letteralmente "fiume tra due montagne", è di una bellezza indescrivibile e nessuna foto potrà mai renderle giustizia. Per sei ore, insieme alla nostra simpaticissima guida e a nuovi compagni d'avventura, camminiamo e ci arrampichiamo su montagne dai mille colori e dalle forme bizzarre.
Partiamo per Salta, città dall'architettura coloniale dove ci ospitano Simon e Mayra: la seconda esperienza con Couchsurfing è assolutamente positiva e passiamo la prima serata mangiando e bevendo.
A Salta visitiamo il MAAM, Museo Archeologico d'Alta Montagna, dove sono conservate tre mummie di bambini Incas esposte a rotazione, e il Pajcha (Museo d'arte etnica americana).
Con Simon e Mayra facciamo una passeggiata sul Cerro de San Bernardo, da cui si gode una splendida vista su tutta la città.
Partiamo alla volta di Tilcara, dove arriviamo dopo aver fatto un cambio di autobus a Jujuy: questa volta saremo ospitati dai nostri amici Simone e Micaela, italiano lui, argentina del nord lei. Tilcara è in assoluto la cittadina che più mi ha affascinata nel viaggio al NOA: pur essendo oramai meta turistica, è riuscita a mantenere intatta la propria essenza indigena. Casa di Micaela è proprio in cima al paese, e ci fa sentire un po' come l'Inca, con il villaggio ai nostri piedi.
Di buona lena, partiamo per un trekking di qualche ora sotto il sole cocente in direzione della Garganta del Diablo, arrivando a ben 3000 metri d'altezza. Insieme a una simpatica coppia argentina conosciuta lì, nel pomeriggio visitiamo il Pucará, le rovine di Tilcara, e facciamo acquisti nel coloratissimo mercatino degli artigiani.
Decidiamo di trattenerci un giorno in più in questa graziosa cittadina polverosa, ricaricando le pile per la prossima tappa.
Arriviamo a Humahuaca, da cui prende il nome la Quebrada. Alla stazione degli autobus conosciamo Alexis che, oltre a trovarci un ostello, ci propone un'escursione per il giorno successivo.
Insieme ad Alexis andiamo a vedere delle pitture rupestri risalenti a 500 anni fa. Siamo gli unici turisti perché le popolazioni locali preferiscono che questo sito non venga preso d'assalto: è successo infatti che alcuni viaggiatori poco rispettosi si portassero via pezzi delle pitture e piante. E' importante per gli indigeni che tutto resti immutato per poterlo preservare e proteggere. Nel pomeriggio partiamo con un tour per la Quebrada de Humahuaca: sul retro di un pick-up arriviamo a 4300 m e ci godiamo la meraviglia del Cerro de los 14 colores, uno dei paesaggi più emozionanti di tutto il viaggio.
Insieme ad alcuni compagni di viaggio partiamo per Iruya, uno splendido villaggio che si raggiunge dopo qualche ora di autobus su una strada sterrata, stretta tra la montagna (siamo arrivati ad oltre 4000 m per poi scendere a valle) e il precipizio. I bagagli sono saldamente legati sul tetto del bus e noi guardiamo affascinati fuori dal finestrino il paesaggio arido. Troviamo una stanza in un hospedaje dove la gentilissima proprietaria ci mette a disposizione il terrazzo per lavare i vestiti.
Insieme ai nostri compagni di viaggio partiamo per San Isidro, un minuscolo villaggio che si raggiunge solo dopo 3 ore di camminata tutta in salita che in alcuni tratti prevede anche il guado del fiume. Quando arriviamo ci troviamo nel bel mezzo di un'assemblea cittadina in cui si sta discutendo della possibilità di mettere un cancello all'inizio del villaggio per regolamentare l'ingresso dei turisti. I locali sono silenziosi ma gentili con noi e passiamo la notte in un hospedaje.
Rientriamo a Iruya e ripartiamo per Humahuaca. Ci rilassiamo in ostello in previsione di un'altra tappa del nostro viaggio. Facciamo amicizia con un ragazzo del paese che ci tiene a farci sapere che la madre è un'ottima cuoca.
Decidiamo di andare a La Quiaca, ultima città argentina prima del confine con la Bolivia. Tuttavia, appena oltrepassiamo la frontiera, comincio a sentirmi male per aver bevuto acqua del rubinetto e, appena possibile, torniamo in Argentina e ci spostiamo nel pittoreso villaggio di Yavi, poco distante da lì. A Yavi troviamo una stanza in un hospedaje e decidiamo di fermarci per un paio di giorni, per darmi la possibilità di riprendere le forze.
Ci rilassiamo a Yavi, facendo passeggiate e chiacchierando con il proprietario dell'hospedaje.
Arriviamo a Purmamarca, una delle cittadine più belle del NOA che però il turismo sta alquanto snaturando. E' Giovedì Santo e ricorre il quarantesimo anniversario del golpe militare che trasformò l'Argentina in una sanguinosa dittatura. Nella piazzetta è in corso una commemorazione per i desaparecidos mentre sono numerosissimi i turisti accorsi per fotografare il Cerro de los siete colores e fare acquisti al mercatino.
Da Purmamarca partiamo in minibus per un'escursione alle Salinas Grandes, dove nella preistoria c'era un lago di oltre 500 km di superficie. E' un luogo abbastanza surreale, di un bianco accecante e i turisti ne approfittano per fare foto in pose improbabili.
In modo un po' inaspettato, decidiamo di mettere fine al nostro viaggio: la stanchezza comincia a farsi sentire e io sono sotto antibiotici e così partiamo per San Miguél. E' la sera prima di Pasqua e troviamo gli ultimi due letti liberi in una camerata di un coloratissimo ostello.
Siamo riusciti a trovare gli ultimi due posti liberi su un autobus per La Plata. Diversamente dal viaggio d'andata, siamo quasi al vedere e quindi la lunga traversata è segnata dal freddo e dalla scomodità. Dopo innumerevoli peripezie, arriviamo finalmente a destinazione, stanchi ma con ricordi indelebili ben stampati nella memoria. Il NOA ci ha conquistati, non sapevamo bene cosa aspettarci ma la bellezza dei paesaggi, la dignità e semplicità della gente, i ritmi di vita lenti e il cibo squisito valgono decisamente la pena.