Avevo sempre sognato di tuffarmi ai confini del mondo. Ma il mondo, di confini, non ne ha più, così non mi restava che tuffarmi ai confini del vecchio mondo. Lì, alle colonne d'Ercole. Lì, dove il Mediterraneo si sposa con l'Oceano, dove Africa ed Europa si amano, dove Andalusia e Marocco si fondono.
Arrivo a Gibraltar in autobus da Malaga, circa 3 ore di viaggio a poco più di 15 euro. Mi godo il paesaggio, leggo un libro, scrivo. Ho deciso di fare il viaggio da solo, uno di quei viaggi in cui senti il bisogno, si dice, di ritrovare te stesso. Io credo che da trovare non ci sia proprio nulla, credo piuttosto che l'uomo, o almeno io, abbia bisogno di perdere pezzi. Siamo troppo carichi di armature, di inutili cianfrusaglie, di rivestimenti pesanti, così pesanti che ci siamo immobilizzati. Dobbiamo perdere pezzi, per arrivare ad essere di nuovo quel nucleo nudo di emozioni, di ebbrezze.
Gibilterra appare ai miei occhi come un meticcio, una "interterra", metà spagnola metà già marocchina. E questo mi piace un sacco. I colori e l'aria sono distanti ben più di 3 ore dal resto dell'Andalusia. Ma qui non siamo né in Spagna, né in Africa. Qui siamo a Gibilterra. Che tra l'altro, è territorio del Regno Unito, vedete un po'.
Fa caldo, vado avanti con scarpe da ginnastica, pantaloni a tre quarti, e una maglietta leggera tolta di dosso e attorcigliata sulla testa. Devo proteggermi dal sole, e devo anche entrare nel personaggio.
Termino la mattina fra un tè caldo (si esatto, anche nel deserto il tè si beve caldo) e due righe scritte sul diario, abbacinandomi da quei dedali di stradine e da quei profumi intensi che chissà se vengono già trasportati dai venti d'Africa.
Mangio leggero, giusto un bocadillo. Vado in direzione del Peñon, la Rocca di Gibilterra. Un promontorio di 200 milioni di anni. 200 milioni. Il promontorio che chiuse e prosciugò il Mediterraneo 200 milioni di anni fa. Chiamatelo un semplice promontorio adesso.
Fa strano, anzi non fa strano per niente, semmai un po' di rabbia a quelli come me, che un posto del genere, una riserva incontaminata e abitata dalle Bertucce di Gibilterra, in totale stato brado, sia stata così "turistizzata". La Cueva de San Miguel adesso è a pagamento, c'è tutto un percorso turistico che comprende questa grotta, quella di Gorham, con resti di Uomo di Neanderthal, che sale su fino al Castillo Arabe de Gibraltar, tutto a pagamento. Che gran peccato.
Ma tant'è, ho perso un po' di magia ma ho preso un po' di conoscenza. Un buon compromesso in fondo.
Bisogna fare molta attenzione sul Peñon: qui i padroni non son mica i turisti. Qui i padroni sono le scimmie. Che rivendicano ogni cosa. Collane, bracciali, anelli, occhiali, macchine fotografiche. Con me, hanno rivendicato un Mars. Avevo un euro, avevo fame, avevo le scimmie vicine. Ho perso. Ma son qui a raccontarlo, e quindi a mio modo di vedere, ho vinto.
Dalle porte di Gibilterra, alla La Línea de la Concepción, ho preso il bus verso Tarifa, dove ogni giorno partono diversi traghetti e aliscafi verso Tangeri. Parto di buon mattino, in un'oretta sono a Tarifa, e altrettanto serve per attraversare lo stretto e trovarmi in un altro continente.
Appena messo piedi a Tangeri, sboccia il profumo d'Africa. Forte, persistente, inebriante. Palpabile. Siamo sulla Porta dell'Africa, così è chiamata Tangeri. Una cittadina vivace, con angoli e viuzze caratteristiche, con la sua bella Medina, con il Palazzo del Sultano e la Grande Moschea. Eppure qualcosa suona in modo un po' stonato; che abbia provato a indossare abiti dell'Occidente? Così m'è parso, con i suq persino più ordinati e puliti dei mercati di Sicilia, con atteggiamenti un po' imborghesiti rispetto alle vicine tetuan, Ceuta, o Fes. Sarà che Tangeri assorbe bene, abituata com'è alle dominazioni: fenicia, cartaginese, romana, vandala, bizantina, araba, portoghese, spagnola e britannica. Forse ha perso un po' d'Africa per strada. Non so poi se sia Africa invece avere bambini tra i piedi a caccia di un "regalo", guide turistiche o pseudotali che forse un po' troppo insistentemente ti propongono di accompagnarti per la città. Non so se sia Africa una spiaggia così sporca. Lo è forse l'odore forte di tabacco, ma chissà se era questo a ispirare Delacroix e Borroughs. Forse mi aspettavo di trovare una Tangeri degli anni '20, quella di Humphrey Bogart e Ingrid Bergman, sebbene il traguardo del 2000 sia stato passato dal un decennio e mezzo. Speravo anche io di essere ispirato da un luogo di pellegrinaggio, ed invece ho trovato piuttosto troppi yacht e poco sapore d'Africa. Ma è una sensazione tutta mia. D'altra parte, se stai cercando vermi per la pesca, persino una pepita d'oro in mezzo alla sabbia può deludere le tue aspettative.